
Il gioco, nelle sue diverse forme, rappresenta un fenomeno sociale molto antico attestato nelle culture di tutto il mondo.
Nelle sue rappresentazioni primordiali era già praticato nel periodo predinastico come confermato dai primi ritrovamenti archeologici. Gli oggetti in questione corrispondono ad una damiera 3×6 con pedine rotonde, rinvenuta in Egitto nella città di El-Mahash e fatta risalire a circa 5000 anni a.C., e un presunto predecessore del Backgammon trovato nella tomba di un re sumero nella città di Shahr-i Sokhta nell’attuale Iran databile nello stesso periodo.
Molto antichi sono il gioco Go, proveniente dall’estremo oriente la cui origine è collocabile tra il 4000 e il 3000 a.C., e il gioco egizio Senet di cui abbiamo diversi reperti tra cui il più famoso è quello ritrovato nella tomba di Tutankhamon (1333-1323 a.C.).
In queste antiche civiltà, pur in presenza di reperti archeologici ascrivibili all’ambito ludico, è difficile reperire testimonianze scritte che dimostrino l’incidenza di questi giochi nella vita sociale.
Le prime fonti scritte che inquadrano i giochi all’interno di un contesto sociale, si trovano nelle civiltà greca e romana. Una delle prime testimonianze letterarie è rappresentata da un passo dell’Odissea in cui viene narrato l’episodio dei Proci intenti a giocare con delle pedine nell’atrio esterno del palazzo di Ulisse.
Il gioco è trattato anche in un altro poema epico, l’Iliade, nel quale Omero attraverso la voce di Patroclo racconta che Achille uccise il figlio di Anfidamonte per una disputa dovuta al gioco degli astragali.
Gli astragali sono degli ossicini del tarso di bovini e ovini ed erano composti da quattro facce a cui era attribuito un valore specifico.
Inizialmente gli astragali venivano usati come oggetti magico-apotropaici nei riti divinatori e nelle previsioni astrologiche. Con la perdita del valore sacrale, diventarono poi strumenti nei giochi di abilità e di azzardo.
Tra i giochi più comuni con gli astragali si ricorda il “Pari e Dispari” che consisteva nell’estrarre gli ossicini da una borsa indovinando, appunto, se il numero estratto fosse pari o dispari. Questa attività ludica era popolare sia tra i fanciulli che tra gli adulti e quest’ultimi vi rischiavano ingenti somme di denaro.
Un altro gioco molto popolare tra gli antichi greci era il gioco dei dadi. I dadi erano noti in tutto l’oriente da tempo immemore, come provato da numerosi ritrovamenti presso antiche civiltà. In origine si lanciavano i dadi per conoscere la volontà divina. Si ricavavano da ossa di animali ed erano molto in voga tra le antiche popolazioni come i babilonesi, i sumeri, gli assiri e gli egizi.
La parola azzardo infatti deriva dall’arabo az-zhar che significa proprio dado. Come gli astragali anche i dadi persero nel corso del tempo il proprio valore sacro trasformandosi in un vero e proprio strumento di intrattenimento. Generalmente si giocava con tre dadi di terracotta le cui sei facce erano contrassegnate da una lettera. Il colpo di Afrodite era il tiro migliore in assoluto (3 volte 6), mentre il peggiore era il colpo del cane (3 volte 1).
I dadi erano costituiti da materiali eterogenei quali terracotta, piombo, bronzo, osso, quarzo, argento e persino oro. Esistevano anche dei dadi poliedrici tagliati da un dado cubico in otto angoli.
Platone attribuì l’invenzione dei dadi al dio Thet, mentre il geografo greco Pausiana l’attribuisce a Palamede, valoroso guerriero famoso per la sua intelligenza.
Il primo storico che inserì i giochi e la sfera ludica in un contesto sociale più ampio e delineato fu Erodoto. Il pater historiae, come lo definisce Cicerone, all’interno della sua opera “Le Storie”, attribuisce l’origine dei principali giochi ellenici al popolo dei Lidi, popolazione indoeuropea che dal VII sec. a.C. abitò la terra di Lidia.
Durante il regno di Atys i lidi subirono una terribile carestia e ricercarono proprio nell’attività ludica una forma di svago che li aiutasse a sopportare il periodo infausto.
Ciò che è rilevante, al di là del fatto storico, è il modo in cui Erodoto inquadra l’ambito ludico oltre l’intrattenimento fine a stesso, considerandolo un fattore sociale decisivo per la sopravvivenza dei Lidi. Erodoto in questo passo intuisce l’importanza sociale della ludicità, un’attività di primo piano nella vita quotidiana dell’antica grecia come conformato dallo storico Huizinga, che nel suo “Homo Ludens“ afferma: “la cultura ellenica era così profondamente imbevuta dell’elemento ludico che questo riaffiorava ormai a malapena dalla coscienza”.
In Grecia il gioco era ampiamente diffuso sebbene l’azzardo fosse proibito per ragioni d’ordine pubblico. La sera però, le bettole greche chiudevano e si trasformavano in luoghi di ritrovo per i giocatori che si sfidavano nell’indovinare l’esito di un evento futuro attraverso il lancio dei dadi e scommettendo i propri beni. Vi era anche un altro luogo di ritrovo per gli appassionati del gioco ossia il tempio di Athena Skira. Il gioco d’azzardo divenne poi una pratica sociale regolamentata. Vi erano tre aspetti da osservare:
· 1 Rendersi conto che si metteva in palio qualcosa di valore
· 2 Una volta scommesso non ci si poteva tirare indietro
· 3 Il risultato era basato sul caso, quindi non c’era garanzia di vincita certa.
Alcune persone inoltre svilupparono un rapporto problematico col gioco e addirittura Diogene, il filosofo greco, riferisce che Socrate fosse un vero e proprio giocatore.
Le numerose testimonianze scritte e i reperti archeologici pervenuti fino a noi attestano quanto il gioco avesse una valenza culturale e sociale di primo piano nell’Antica Grecia, un aspetto integrato profondamente negli usi e costumi di quelle popolazioni, che ha posto le fondamenta per le evoluzioni che lo hanno portato fino ai giorni nostri, epoca dopo epoca.