
Il gioco sin dai tempi antichi ha assolto un importante funzione sociale all’interno delle comunità arcaiche come forma ricreativa e di aggregazione.
Ma è nella civiltà greca che il gioco nelle sue diverse declinazioni assume un ruolo di prim’ordine integrato nella cultura e nella quotidianità.
L’espansione del dominio di Roma sui territori del mar mediterraneo portò a contatto la civiltà romana con altre culture, tra cui soprattutto quella greca, mutuandone usi, costumi e tradizioni compreso l’interesse per le attività ludiche.
Infatti proprio a Roma il gioco trovò la sua massima espressione suscitando l’interesse della comunità e radicandosi nel tessuto sociale.
Ciò è dimostrato anche dalla crescente attenzione da parte dei legislatori romani volta a regolamentarlo.
Per il diritto romano i giochi che prevedevano una vincita in denaro erano generalmente proibiti salvo alcune eccezioni ovvero quelle attività ludiche ritenute di grande valore per la comunità: la lotta, la corsa, il salto, il pugilato e il lancio dell’asta. I ludi erano un insieme di giochi gladiatorii, naumachie e gare equestri che oltre a costituire un occasione di svago, rappresentavano un momento significativo di aggregazione sociale. Nei ludi sportivi era consentito scommettere denaro sugli esiti di questi incontri e il legislatore permetteva la riscossione dell’eventuale vincita attraverso l’azione in giudizio.
Per i restanti giochi in denaro il diritto romano prevedeva tre principi di condotta:
1. Esso non dà querela al vincitore, per domandare la somma non vinta e non ancora sborsata;
2. Esso dà al perdente querela (condictio repetita), per ridomandare la somma perduta;
3. Esso non mette sopra nessuna pena
Il gioco più diffuso tra i romani era il gioco dei dadi che veniva praticato sia dagli imperatori che dagli schiavi, durante i banchetti, alle terme, nelle locande o agli angoli delle strade. Il gioco dei dadi rientrava tra le attività ludiche proibite, infatti fin dall’età repubblicana vigeva la lex alearia che puniva i giocatori con pesanti ammende (il quadruplo della posta in gioco). Ma queste norme ostative venivano spesso ignorate. Tanto che lo stesso imperatore Augusto si dilettò con gli astragali e i dadi sino alla vecchiaia in modo manifesto e inosservante dei regolamenti del gioco, sicché dopo la sfortunata campagna di Sicilia si diffuse un epigramma che affermava che avendo perso per ben due volte le sue navi, pur di vincere qualcosa l’imperatore giocava sempre ai dadi.
Larga diffusione avevano i giochi degli Aliossi (astragali) piccoli ossicini del tarso delle zampe degli animali usati come dadi, micatio (la morra), il caput aut navia (l’attuale testa o croce) che si giocava lanciando in aria una moneta che da un lato aveva l’effige con la testa di Giano e dall’altro la prua di una nave, e il par et dispar l’odierno gioco del “pari e dispari” con cui un giocatore teneva chiuso nelle mani un determinato numero di sassolini e l’altro doveva indovinare se erano di numero pari o dispari.
Un’altra categoria di giochi molto comuni nella roma antica era rappresentata dalle tabulae lusoriae (tavoli da gioco) che necessitavano di un piano d’appoggio per essere praticati su cui era inciso uno schema sempre più elaborato a seconda della complessità del gioco. Queste tavole potevano essere dei vassoi o tavolette richiudibili di legno semplici o tarsiate oppure tavolini in marmo o bronzo.
Venivano incise o scolpite anche sui pavimenti o sui gradini dei tribunali o all’interno degli anfiteatri.
Nelle case dei ricchi invece si usavano generalmente scacchiere realizzate in materiali preziosi.
Pompeo Magno fece sfilare nel corteo del suo trionfo sui pirati, con il resto del bottino, la preziosa scacchiera di 3 piedi x 4 (90 x 120 cm) le cui caselle erano ricavate con l’intarsio di due tipi di pietre preziose.
L’uso delle tabulae lusorie era esteso anche ai giochi che richiedevano ragionamento e capacità logiche come il “Ludus duodecim scriptorum” (gioco delle dodici linee) molto simile al moderno backgammon o il “Ludus Latrunculorum” predecessore del gioco degli scacchi.
La posizione della normativa romana in materia di gioco d’azzardo era di mediazione tra la salvaguardia dell’ordine pubblico e l’accettazione del fenomeno ludico all’interno della comunità. Ciò si esprimeva in un atteggiamento di tolleranza nei confronti dei giochi con vincite di denaro al di fuori dei dettami legislativi. A conferma di quanto detto vi erano dei periodi dell’anno in cui a Roma decadevano transitoriamente i divieti ed era lecito giocare d’azzardo. Infatti durante i Saturnali, la festività sacra in cui veniva venerato il dio Saturno, tutto era concesso anche i giochi normalmente proibiti per legge e persino gli schiavi potevano far valere le proprie capacità ludiche. Durante questo periodo di festa che andava dal 17 al 23 dicembre, di cui ancora oggi è possibile rinvenire traccia nei tradizionali giochi natalizi, si organizzavano banchetti e festeggiamenti che coinvolgevano tutta la popolazione ed erano caratterizzati da una completa libertà dei comportamenti.
Era consentito ludere in pecuniam anche durante le Quinquiatre, le feste in onore della dea Minerva celebrate il 19 marzo, cinque giorni dopo le idi di marzo.
I numerosi esempi di intrattenimento ereditati dal passato e dalla civiltà romana in particolare, dimostrano come nonostante l’evoluzione sociale e culturale l’uomo contemporaneo conservi quei caratteri intrinseci propri del genere umano, tra i quali la ricerca della dimensione ludica, che in ogni tipo di epoca e società ha fatto sempre parte degli usi e costumi di tutte le civiltà della storia.